Le “reti” cerebrali connesse ad atteggiamenti e stili di vita sono state mappate usando i primi dati del progetto “Connettoma umano”, super database Usa che raccoglie risonanze e report su 1200 persone..
E’ possibile mappare le reti “buone” del cervello, quelle cioè collegate a stili di vita e comportamenti positivi? SI, secondo alcuni degli scienziati che fanno parte del progetto “Connettoma umano” (Human Connectome Project), maxi studio di immagini cerebrale da 30 milioni di dollari.
Un super database che raccoglie le risonanze magnetiche funzionali di 1200 soggetti sani con dati di approfondimento acquisiti da test e questionari. Sono stati presi in considerazione i report sulle connessioni cerebrali di 461 soggetti, confrontandoli con 280 diverse misure comportamentali e demografiche registrate per gli stessi partecipanti e 200 regioni funzionalmente distinte le une dalle altre”.
Ciò che è emerso è che esiste una forte corrispondenza tra i tratti positivi e un particolare insieme di connessioni cerebrali. Queste connessioni sono diverse da altre che risultano invece correlate a condotte negative.
Mappa delle connessioni cerebrali
Definita la mappa quale punto di partenza, ciò ha permesso ai ricercatori di indagare successivamente su “quanto tutte quelle regioni hanno comunicato tra di loro, in ogni partecipante”. Il risultato è un connettoma per ogni soggetto: una mappa delle connessioni cerebrali più forti.
Abbinandola alle 280 diverse misure comportamentali e demografiche personali, è emerso che ad un estremo della scala dei connettomi si posizionavano i soggettivi con punteggi alti su tratti ritenuti generalmente positivi come vocabolario, memoria, anni di istruzione, soddisfazione di vita e di reddito.
All’altra estremità invece si concentravano soggetti con punteggi più alti per i tratti negativi, come rabbia, trasgressività, uso di sostanze, scarsa qualità del sonno. Una sorta di asse dal massimo del positivo al massimo del negativo. Resta da capire come mai la maggior parte delle persone si posizioni alle due estremità e non in posizioni intermedie.
La variabile dell’intelligenza
I ricercatori sottolineano che i loro risultati sono riconducibili a quello che gli psicologi chiamano general intelligence (g-factor). Il nuovo studio può fornire l’occasione per capire se quella teoria è corretta, o se i processi del cervello raccontano una storia più complessa.
Fonte: Pubblicazione LILT “Prevenire Insieme”
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