- Articolo 5 della serie sulle Leucemie Acute
Dr Federico Mosna, MD PhD
Medico dell’Ematologia e Centro Trapianti di Midollo Osseo di Bolzano
Dopo aver parlato delle leucemie mieloidi acute (LAM), parliamo adesso dell’altra grande famiglia di leucemie acute, tipica del bambino e giovane adulto (fino ai 25 anni di età; nel bambino costituisce il 75-80% delle leucemie acute), ma in realtà possibile fino ad età molto avanzata (>80 anni): le leucemie acute linfoblastiche (LAL, Figura 1).

Come abbiamo visto, se le LAM nascono da un “impazzimento” della cellula staminale ematopoietica (CSE), le LAL originano da un simile “impazzimento” di una cellula poco più matura, responsabile della generazione dei linfociti, il sottogruppo specializzato di globuli bianchi che forma la grande maggioranza delle cellule del sistema immunitario (Figura 2).
Questa cellula non contribuisce alla generazione di globuli rossi e piastrine; inoltre, non ha capacità estese di automantenimento del proprio gruppo, che va incontro a progressivo esaurimento se non ricostituito di continuo dalle CSE. Per tali ragioni non è definita “staminale”. Tuttavia ne condivide alcune caratteristiche, quali il trovarsi all’apice di un sistema piramidale di generazione di vari tipi cellulari specializzati, l’ampia capacità proliferativa, la sostanziale immaturità, e la continua proliferazione e maturazione per sostenere l’enorme necessità produttiva dei linfociti.
Infatti, per quanto essi possano proliferare ampiamente, in modo selettivo, nel corso di un’infezione, la varietà e la plasticità della risposta immunitaria richiede la generazione continua di linfociti responsabili del riconoscimento di diversi agenti patogeni. E’ solo attraverso il continuo ricambio di linfociti già geneticamente predisposti al riconoscimento, tramite il proprio recettore, di diversi specifici pattern di bersaglio che il nostro sistema immunitario si mantiene capace di fronteggiare una nuova infezione prima di averla incontrata; e, attraverso poi lo sviluppo della risposta immunitaria primaria, acquisisce un’immunità contro tale infezione che difende l’organismo da un eventuale secondo contatto.
Per tale ragione molte infezioni si contraggono una sola volta (è il caso per esempio del virus del morbillo); e in altri casi la reinfezione (o la riattivazione virale di virus rimasti nel corpo sotto la sorveglianza continua del sistema immunitario) si manifesta in modo molto diverso dall’infezione primaria (è il caso per esempio della varicella e del “fuoco di Sant’Antonio”, ovvero dell’Herpes Zoster, due malattie molto diverse sostenute dallo stesso virus).
In questo articolo non possiamo approfondire ogni aspetto del nostro sistema immunitario: ci limiteremo pertanto ad affrontare solo pochi concetti fondamentali per comprendere le differenze tra LMA e LAL, e tra i sottotipi delle LAL stesse.
I linfociti prodotti dal progenitore linfoide comune si distinguono primariamente in linfociti B e T.
I primi (linfociti B) prendono il nome dalla “borsa di Fabrizio”, l’organo indipendente dove vengono prodotti, scoperto negli uccelli da Girolamo Fabrici d’Acquapendente nel 1621: nell’Uomo tale organo non esiste, e le sue funzioni vengono svolte dal midollo osseo. Sono le grandi fabbriche cellulari degli anticorpi, cioè di proteine specializzate al riconoscimento di bersagli molecolari (altre proteine, parti di proteine, pattern conservati glicolipidici) presenti sulla superficie di altre cellule/virus/patogeni ambientali/tossine o prodotte da queste stesse. Con una estremità l’anticorpo lega il bersaglio verso cui ha specificità; con l’altra, attiva una serie di altre cellule indirizzandole come un faro molecolare direttamente sul bersaglio. Dopo il contatto con una struttura complementare al proprio specifico recettore, e in presenza di segnali di costimolazione che ne consentano l’attivazione (primo tra tutti un microambiente infiammatorio, ma non solo), il linfocita B si attiva proliferando massivamente e trasformando le cellule figlie in fabbriche di anticorpi ad alto livello produttivo, le plasmacellule. Risolta la minaccia infettiva, una parte di questi linfociti rimane silente a lungo termine con la capacità di produrre anticorpi ad alta affinità e alto livello attivatorio: sono le “cellule B memoria”, responsabili del mantenimento dell’immunità.
I linfociti T, invece, prendono il nome dal Timo, l’organo linfoide primario dove vengono generati, soprattutto (ma non solo) durante la vita infantile e la prima età adulta. Una parte di precursori linfoidi comuni migra infatti dal midollo osseo attraverso il sangue per raggiungere il timo, dove con passaggi progressivi acquisisce piena maturità. I linfociti T sono gli “strateghi” dell’esercito cellulare rappresentato dal sistema immunitario: si attivano in modo altamente specializzato, dopo confronto con pattern proteici specifici (verso cui hanno un’affinità precostituita su base casuale, come vale per i linfociti B), ma in stretta dipendenza da fini meccanismi di regolazione, costituiti da altre cellule con funzioni di “presentazione” che fungono da primo filtro, e da varie condizioni ambientali (citochine, stimoli infiammatori, presenza di patogeni e altro). Un intero sistema di controllo dell’attivazione dei linfociti T è presente anche su molte cellule che ne possano diventare potenziale bersaglio. C’è un motivo biologico ben preciso per la ridondanza e la complessità di questi meccanismi di regolazione: la risposta immunitaria scatenata dai linfociti T una volta attivati, infatti, per potenza, estensione all’intero organismo e potenzialità distruttiva sul nostro stesso corpo deve essere controllata in modo altrettanto potente e specifico, pena l’esser responsabile di danni ancora peggiori di quelli determinati direttamente dall’infezione (è il caso di molte malattie autoimmunitarie).
E’ raro che questi fenomeni autoimmuni si verifichino nel contesto di una LAL, in quanto le cellule leucemiche, che rimangono immature, non possiedono le funzioni proprie dei normali linfociti T. Tuttavia la capacità residua di maturazione delle LAL ne consente comunque la distinzione in forme B, T e altri sottotipi meno comuni, ed è responsabile anche di alcune importanti differenze cliniche e terapeutiche delle LAL rispetto alle LAM. Molto più che non la sola analisi morfologica (cioè dell’aspetto delle cellule al microscopio, dopo colorazione) è l’analisi immunofenotipica (cioè delle proteine prodotte dalle cellule) che ci consente di distinguere i sottotipi di LAL (Figure 3 e 4).
Come per le LAM, infatti, le LAL si contraddistinguono da un’aggressiva rapida espansione ai danni del midollo osseo, col venir meno quindi della normale produzione delle cellule sane del sangue. Questo provoca come per le LAM una rapida carenza di piastrine (con l’eventualità di possibile emorragie), una progressiva carenza di globuli rossi (con anemia, stanchezza, malessere, cefalea) e una grave carenza dei globuli bianchi sani (responsabile di un aumentato rischio e un decorso più aggressivo delle infezioni). Ma in più le LAL hanno una caratteristica crescita all’interno degli organi propri del sistema immunitario (linfonodi, timo, milza, tonsille e altro), che in molti casi possono precedere, soprattutto per le forme T, lo sviluppo della malattia nel midollo osseo.
Se i linfonodi interessati dalla malattia sono localizzati in profondità nel torace o dietro all’intestino (“retroperitoneo”), la malattia può formare masse patologiche molto importanti (anche >10 cm di diametro!) prima di dare sintomi percepibili. In effetti, le LAL possono essere considerate come un gruppo distinto di linfomi aggressivi, che sono i tumori maligni derivati dai linfociti. Rispetto a questi, sono formate da cellule più immature, derivando dalla cellule progenitrice linfoide, tendono ad una maggiore e più rapida infiltrazione del midollo osseo e necessitano di una diversa chemioterapia.
Infatti il corretto atteggiamento terapeutico nei confronti delle LAL è un approccio “da leucemia acuta”, e non “da linfoma”, più lungo e impegnativo rispetto a quanto necessario per la maggior parte dei linfomi. Questa differenza è legata alla differenza biologica esistente tra queste malattie. La chemioterapia si basa sugli stessi concetti già spiegati per le LAM (si vedano gli articoli 2 e 3), e ne condivide molti effetti collaterali, quali nausea, vomito, gastrite e cefalea (nei giorni di somministrazione), seguiti da mucosite oro-gastro-intestinale e aplasia (nei giorni successivi).
Tuttavia i farmaci impiegati e la logica di somministrazione sono molto diversi: se nella LAM si prediligono pochi farmaci a dosi elevate, somministrati in cicli successivi (il primo di induzione, poi altri 2-4 di consolidamento), nel caso della LAL i farmaci impiegati sono più numerosi, e includono chemioterapici (p.e. Vincristina, Ciclofosfamide, Antracicline), antimetaboliti (p.e. Methotrexate, Asparaginasi) e, in alcuni casi, anticorpi terapeutici mirati. Inoltre, la somministrazione prevede numerosi cicli ripetuti (il primo di induzione, i successivi 4-7 di consolidamento), seguiti da una chemioterapia più leggera “di mantenimento”, compatibile con una vita normale e con l’attività lavorativa, della durata di 1-2 anni.
Scheletro portante di tutta la terapia sono i corticosteroidi, che, oltre che avere un effetto di alleviamento dei processi infiammatori e di molti sintomi, hanno al dosaggio impiegato un diretto effetto distruttivo sulle cellule della LAL, e quindi contribuiscono all’effetto della chemioterapia stessa. Molti di questi farmaci hanno specifici effetti collaterali (p.e. la neurotossicità per la Vincristina; la tossicità epatica, sul sistema della coagulazione, sul pancreas della Asparaginasi), e a seconda del ciclo di trattamento sono attesi periodi di aplasia più o meno prolungati, che consentono pertanto il trattamento in regime di ricovero o di Day Hospital. Infine, data la particolare tendenza delle cellule di LAL di localizzarsi nelle meningi e nel cervello, zone dove i farmaci endovena arrivano poco, è necessaria anche una serie di punture lombari con la somministrazione di piccole quantità di chemioterapici direttamente a livello intratecale.
Esiste un rapporto diretto tra l’intensità complessiva della terapia somministrata (in termini di farmaci diversi, a dosi elevate e somministrati in un tempo non eccessivo) e le possibilità di guarigione del paziente. Per questa ragione, da un punto di vista storico, là dove si è intensificato la dose più precocemente, cioè in ambito di Oncologia pediatrica, si sono ottenuti prima risultati migliori, al punto che è ora possibile guarire l’85-90% delle forme di LAL pediatriche, un risultato impensabile solo 50 anni fa!
Sulla falsariga di questi progressi, i protocolli moderni di terapia prediligono anche nell’adulto schemi molto simili a quelli pediatrici (fino ai 25-30 anni di età), per poi scalare la dose (ma non troppo) dai 30 ai 55 anni. La terapia dell’anziano non differisce molto da quella dell’adulto più giovane, ma le dosi e la varietà dei farmaci impiegati vengono necessariamente molto ridotte. Inoltre, anche nel caso di anziani in ottima forma fisica, è sempre necessario un piano realizzato su misura, che adatti la teoria alla realtà effettiva del paziente e della sua storia clinica.
Purtroppo, qualsiasi riduzione di dose riduce anche l’efficacia curativa della chemioterapia, e quindi le possibilità di guarigione. Ciò nonostante, è possibile oggigiorno proporre una chemioterapia con finalità potenzialmente curative fino ai 75 anni di età; al di sopra di questo livello, nella maggioranza dei pazienti gli obiettivi possono essere solo di tipo palliativo.
Esiste infine un gruppo di LAL particolari, contraddistinte dalla presenza di un cromosoma patologico detto “Philadelphia”, che merita una trattazione separata.
Di esso e dei moderni farmaci per le LAL refrattarie o ricadute parleremo nel prossimo articolo di questa serie.
Dott. Federico Mosna

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