Medici e pazienti

Intervista alla Dott.ssa Franca Zadra

Accessibilità dei servizi sanitari e di prevenzione per la popolazione di recente immigrazione

Come anticipato nel precedente numero di LILT, parliamo con la Dott.ssa Franca Zadra dell’accessibilità delle cure sanitarie e preventive per la popolazione di recente immigrazione.

In primo luogo: cosa si intende Dott.ssa per accesso e accessibilità dei servizi di salute e per quale motivo sarebbe importante dedicare maggiore attenzione a questa tematica?

È importante distinguere fra “accesso”, ovvero quante persone usufruiscono effettivamente dei servizi sanitari e preventivi, e “accessibilità”, ovvero quali fattori agevolino o impediscano di fatto questo accesso. È ben documentato che, malgrado una legislazione favorevole, gli immigrati accedono alle cure sanitarie in maniera minore rispetto alla popolazione autoctona.
Le barriere infatti non sono di tipo giuridico, dato che il diritto di tutti di accedere alle cure sanitarie sul territorio nazionale è un principio che trova riscontro in diverse fonti normative, primariamente nella Costituzione (art. 32) e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (art. 35), oltre che nelle disposizioni di legge che specificamente garantiscono il diritto alla cura dei cittadini stranieri presenti nel territorio, che abbiano o meno un titolo di soggiorno (Art.32-34 della legge 40/1998). La conoscenza diffusa a livello nazionale di questi diritti e la possibilità di renderli agiti su tutto il territorio a rappresentare ancora una sfida.
Una delle barriere più frequentemente documentate, anche a livello internazionale, è e rimane ad esempio quella linguistica.
A questo riguardo è stato implementato in Alto Adige a livello di sistema il servizio di mediazione interculturale, che si è rivelato giocare un importante ruolo nella facilitazione dell’accesso alle cure della popolazione di recente immigrazione e, quindi, a migliorarne la sua “accessibilità”.

Il documentato minore accesso alle cure da parte della popolazione immigrata, di cui ci riferiva, si evidenzia in modo generalizzato nelle varie tipologie di servizi di salute o sono state identificate delle differenze?

I dati ISTAT indicano che la popolazione di origine straniera usufruisce in maniera meno consistente, sia delle visite di medicina generale che di quelle specialistiche, sia delle cure ambulatoriali che dei ricoveri ospedalieri. I due ambiti in cui si riscontra invece un accesso più rilevante sono il pronto soccorso e il ricovero nel reparto di maternità. Come è facilmente intuibile, nel primo caso è plausibile che la frequenza di incidenti e i malori di varia origine si possano verificare in situazioni abitative o lavorative precarie, pericolose o poco tutelate. Nel secondo caso è ben documentata l’incidenza del maggiore tasso di natalità nella popolazione immigrata rispetto a quella storicamente insediata sul territorio.
I fattori che determinano invece il minore accesso alle altre cure mediche, sono meno visibili per i servizi e le loro cause possono essere di vario tipo, per questo è importante studiarle attentamente. Ad esempio, si riscontra nelle famiglie di origine mista, ovvero con componenti sia di origine italiana che straniera, un tasso di accesso ai servizi superiore a quelle composte unicamente da persone di nazionalità/origine straniera.

Quando si parla di accesso alla prevenzione, possiamo rilevare all’interno della popolazione con background migratorio differenze di genere?

I servizi preventivi sono un tasto particolarmente dolente quando si parla di accessibilità, dato che sono il settore in cui il divario nell’accesso tra cittadini di origine italiana e straniera è maggiore. Anche semplicemente parlando della copertura vaccinale antinfluenzale ci si attesta sul 16,9% degli immigrati, rispetto al 40,2% dei cittadini italiani. Tuttavia, quando si parla di prevenzione al femminile, i numeri sono veramente preoccupanti, ad iniziare dal minore accesso alle cure preventive perinatali, sino ai i tassi di nascite premature ecc. Non c’è da sorprendersi, perché la comprovata “femminilizzazione” dei flussi migratori in Italia ha portato, come nel resto d’Europa, a un progressivo aumento della componente femminile della popolazione di origine straniera. In questo senso, è molto importante lavorare insieme alle donne immigrate. Esse non sono da inquadrare infatti solamente come in una posizione di vulnerabilità, ma come co-artefici di cambiamento. A conferma di ciò, se si considerano da vicino determinati flussi di migrazione lavorativa al femminile, si troveranno molte donne immigrate che, non solo ricevono, ma forniscono cure sanitarie. Ad esempio, vi sono consistenti gruppi  di donne provenienti dal Sudamerica che ricoprono ruoli infermieristici o dall’est Europa che lavorano come assistenti alla cura.

Quando si parla invece nello specifico di accesso alla prevenzione oncologica, come cambiano i dati?

L’ISTAT ha messo a confronto due rilevazioni sul ricorso alla prevenzione dei tumori femminili, una fatta nel 2005 e una nel 2013. La proporzione di donne italiane che ricorre al pap-test e alla mammografia rimane maggiore rispetto a quella di donne immigrate, anche se il confronto ha mostrato una crescente copertura dei servizi di prevenzione nei confronti di tutta la popolazione. Mentre però al nord-est e nel centro Italia il divario tra straniere ed italiane diminuisce, nel sud e nelle isole esso tende ad aumentare. Bisogna anche fare presente che, in quelle località in cui l’accesso è in aumento per le donne italiane, di norma lo è anche per le donne immigrate. Questo indica un impatto trasversalmente positivo del miglioramento generale dell’accessibilità dei servizi di prevenzione oncologica e la necessità di continuare a lavorare in quella direzione.

Le chiediamo quindi, rispetto al tema dell’accessibilità, come mai, secondo Lei, visto che comunque la maggior parte dei servizi di screening oncologico è gratuita, una porzione significativa delle donne ancora non vi accede?

Questo può dipendere da vari elementi, ad esempio: le condizioni di lavoro, il livello d’istruzione, i canali d’informazione e le reti sociali, che possono avere un ruolo nella creazione di barriere d’accesso ai servizi preventivi. Il tempo a disposizione per la cura di sé non è sempre a portata di mano per le donne, spesso sottoposte ad orari, salari e condizioni di lavoro precarie e all’invisibile carico del lavoro domestico non sempre equamente condiviso. In più, nel caso di molte donne di recente immigrazione, le barriere linguistico-culturali e l’isolamento sociale aumentano le difficoltà. Infatti, nello studio citato, le donne immigrate meglio inserite nel contesto locale, ovvero, quelle che risiedono in Italia da almeno 13 anni, hanno un partner italiano, sono laureate o ritengono adeguate le loro risorse economiche, hanno tassi di accesso agli screening nettamente superiori.

Cosa si potrebbe fare per migliorare la copertura di screening oncologico tra le donne immigrate in Alto Adige?

Ci sono diverse misure che si possono mettere in atto per aumentare l’accessibilità. La prima cosa che viene in mente è la disseminazione delle informazioni. Un invito scritto allo screening può essere sufficiente per chi si orienta nel sistema sanitario locale, ma può risultare inaccessibile alle donne che non hanno ancora una buona conoscenza della lingua. L’utilizzo di materiale informativo multilingue (cartaceo o digitale) e specialmente l’utilizzo dei mediatori interculturali può essere di grande aiuto, come lo è stato senz’altro a Bolzano nell’ambito dei servizi di maternità e nella formazione specifica del personale sanitario.
Tuttavia, per i gruppi più isolati, penso che serva un approccio di outreach* sanitario. Esso comporta cercare un contatto con chi non riesce ad arrivare da sola/o alle strutture sanitarie. Il coinvolgimento di rappresentanti delle singole comunità nello strutturare iniziative d’informazione ha dato in altri contesti buoni risultati, come anche il potenziamento di accessi a bassa soglia per i gruppi più marginalizzati. Ad esempio, l’Ambulatorio STP (per Stranieri Temporaneamente Presenti) dell’Ospedale San Maurizio ha condotto, nei centri d’accoglienza, incontri informativi su temi legati alla prevenzione coinvolgendo mediatori e associazioni del terzo settore.
Quando c’è una autentica volontà di aumentare la copertura dei servizi, i mezzi si possono trovare!

*con questo si intende uno strumento per il raggiungimento diretto delle persone.

Ringraziamo la Dott.ssa Zadra per le numerose informazioni fornite e ci auguriamo che si rifletta sempre più sul concetto di accessibilità ai servizi, non solo quelli di prevenzione, anche se per LILT sono senz’altro quelli che stanno più a cuore.

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