Prof. Ivo Quaranta
In questo articolo proponiamo il seguito della pubblicazione uscita sul nostro Blog il 18 0ttobre del 2021 alla quale vi rimandiamo con questo LINK
Nel suo lavoro, l’antropologa Francesca Cappelletto, narrando la propria vicenda di paziente oncologica, ha sottolineato con forza quanto i suoi tentativi di riequilibrare la relazione di cura verso le esigenze personali di elaborazione del senso abbiano prodotto la sua classificazione nei termini di una paziente problematica, con la conseguenza di non poter essere certa di avere un rapporto continuativo con lo stesso specialista, all’interno di un’economia della speranza in cui si ha invece il profondo bisogno di una relazione stabile e di fiducia. Potersi affidare però, ha un prezzo assai elevato: partecipare a quei processi di costruzione culturale della malattia che producono l’alienazione da sé.
In questo senso possiamo cogliere quelle sottili forme di violenza su cui in molti, nel corso del tempo, hanno diretto la loro attenzione analitica: i crimini di pace di Franco Basaglia, la violenza simbolica di Pierre Bourdieu, i piccoli genocidi della vita quotidiana di Nancy Scheper-Hughes, la violenza strutturale di Johan Galtung, ecc. sono tutti concetti che con sfumature differenti mirano a problematizzare quelle implicite, legittime, routinarie forme di violenza quotidiana iscritte in, e prodotte da, particolari assetti sociali, economici, politici e culturali. Si tratta di una forma di violenza indiretta, e che spesso non è percepita dagli attori coinvolti o considerata come qualcosa d’altro, a volte con connotati positivi (il necessario distacco del medico come garanzia di obiettività e professionalità, la disparità fra medico e paziente come garanzia di autorevolezza del primo e dunque funzionale alla relazione di fiducia, il riduzionismo come garanzia di efficacia, e così via).
Si tratta dunque di processi la cui specificità sta nel minare l’integrità umana senza essere necessariamente manifesti nella coscienza degli attori sociali come processi di oppressione.
Su questo le riflessioni di Francesca Cappelletto sono quanto mai appropriate: la sua analisi non intende muovere invettive nei confronti della classe medica, quanto piuttosto vuole mettere in luce la natura profondamente strutturale ed epistemologica delle contraddizioni in cui gli operatori stessi sono catturati. La carenza di tempo, il sovraccarico di lavoro, la crescente aziendalizzazione della pratica medica chiaramente agiscono nel condizionare la capacità degli operatori verso forme di azione vissute in modo problematico. Ecco allora la vocazione critica del suo pensiero e la sua proposta: evitare una contrapposizione fra medico e paziente a favore di un fronte comune delle parti contro quei processi che una volta analizzati criticamente emergono nel loro profondo arbitrio.
Sebbene i mattoni della nostra esistenza siano culturalmente definibili in termini biologici, il progetto di edificazione è intimamente sociale e dunque in parte nelle nostre mani. L’obiettivo delle analisi antropologiche del campo biomedico dunque non è tanto quello di destabilizzare il presente mettendone in luce la natura profondamente storica e dunque arbitraria, quanto piuttosto di cartografare il presente al fine di destabilizzare il futuro. In altre parole, non si tratta di criticare il riduzionismo che fonda l’efficacia della biomedicina, ma di mettere in luce come sia possibile l’apertura di sviluppi capaci di dare forza alle nostre possibilità di intervento presenti per plasmare in un qualche modo il futuro che vorremmo, all’insegna di un sostanziale riconoscimento ai pazienti del loro diritto al come parte integrante di un percorso di cura radicato in un’etica della partecipazione e della corresponsabilità.

Ivo Quaranta
Professore associato
Dipartimento di Storia Culture Civiltà
DISCIPLINE DEMOETNOANTROPOLOGICHE
Coordinatore del Corso di Laurea Magistrale in Antropologia culturale ed etnologia presso l’Università di Bologna, svolge le sue ricerche nell’ambito dell’antropologia medica. I suoi interessi di ricerca sono rivolti in particolare all’analisi dell’elaborazione culturale e della produzione sociale dell’esperienza di malattia. Attualmente incentra la sua ricerca sui temi: del rapporto fra salute e processi migratori, dell’applicazione dell’antropologia nel contesto dei servizi medici e socio-sanitari e, più in generale, dell’antropologia pubblica.
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